(AF, n. 2/02)
La collaborazione coordinata e continuativa si svolge senza vincolo di subordinazione che è caratteristica del lavoro dipendente. A norma dell’art. 405 c.p.c. tale rapporto si configura come di “parasubordinazione” ai fini della tutela innanzi al Giudice del lavoro. Si tratta pur sempre, però di lavoro autonomo, atteso che l’art. 405 c.p.c. n. 3 equipara i rapporti di parasubordinazione al lavoro subordinato solo “ai fini dell’applicazione di alcuni istituti a carattere prevalentemente processuale” (Cass. 13 dicembre 1996 n. 7497).
Preliminarmente, occorre ricordare che la principale norma definitoria dell’istituto della collaborazione coordinata e continuativa si rinviene nell’art. 409 c.p.c. n. 3, che individua i lavoratori parasubordinati quali soggetti che prestano la propria attività in maniera prevalentemente personale e con carattere di continuatività e coordinazione con l’attività del committente. Tale tipologia di lavoro, che non si colloca nella bipartizione lavoro autonomo – lavoro subordinato, ma nel cosiddetto tertium genus della parasubordinazione, ossia dei rapporti di cui all’art. 409 c.p.c. citato, rappresenta uno strumento di una certa diffusione e rilevanza nel settore pubblico.
Un importante vantaggio che deriva dal ricorso a tale modalità di reperimento del fattore lavoro per l’organizzazione della pubblica amministrazione è la modalità della procedura di selezione, più rapida di quella ordinaria prevista per le assunzioni a tempo determinato. Il ricorso allo schema contrattuale della collaborazione coordinata e continuativa, infatti, non instaura un rapporto di lavoro dipendente, ma un contratto di prestazione professionale con modalità, durata e corrispettivo retributivo regolati dal contratto stesso che viene stipulato dalle due parti.
(AF, n. 2/02)
La collaborazione coordinata e continuativa si svolge senza vincolo di subordinazione che è caratteristica del lavoro dipendente. A norma dell’art. 405 c.p.c. tale rapporto si configura come di “parasubordinazione” ai fini della tutela innanzi al Giudice del lavoro. Si tratta pur sempre, però di lavoro autonomo, atteso che l’art. 405 c.p.c. n. 3 equipara i rapporti di parasubordinazione al lavoro subordinato solo “ai fini dell’applicazione di alcuni istituti a carattere prevalentemente processuale” (Cass. 13 dicembre 1996 n. 7497).
Preliminarmente, occorre ricordare che la principale norma definitoria dell’istituto della collaborazione coordinata e continuativa si rinviene nell’art. 409 c.p.c. n. 3, che individua i lavoratori parasubordinati quali soggetti che prestano la propria attività in maniera prevalentemente personale e con carattere di continuatività e coordinazione con l’attività del committente. Tale tipologia di lavoro, che non si colloca nella bipartizione lavoro autonomo – lavoro subordinato, ma nel cosiddetto tertium genus della parasubordinazione, ossia dei rapporti di cui all’art. 409 c.p.c. citato, rappresenta uno strumento di una certa diffusione e rilevanza nel settore pubblico.
Un importante vantaggio che deriva dal ricorso a tale modalità di reperimento del fattore lavoro per l’organizzazione della pubblica amministrazione è la modalità della procedura di selezione, più rapida di quella ordinaria prevista per le assunzioni a tempo determinato. Il ricorso allo schema contrattuale della collaborazione coordinata e continuativa, infatti, non instaura un rapporto di lavoro dipendente, ma un contratto di prestazione professionale con modalità, durata e corrispettivo retributivo regolati dal contratto stesso che viene stipulato dalle due parti.